Tra la fine di giugno e la metà di luglio del 1815, nei drammatici momenti successivi alla sconfitta di Waterloo, l’America apparve a Napoleone come il rifugio ideale per sé e per la propria famiglia, dove avrebbe trovato una nuova patria, giovane e libera. Nonostante la concitazione del momento, l’imperatore appena deposto ordinò al suo bibliotecario Barbier di comporre una grande biblioteca, da spedire in America, che doveva comprendere “il maggior numero di volumi possibile sugli Stati Uniti”. La storia, com’è noto, ebbe un epilogo differente. All’ex imperatore dei francesi non fu concesso di imbarcarsi per l’America ma, prigioniero degli inglesi, fu portato a Sant’Elena, l’isola dell’Atlantico dove morì nel 1821. Un secolo più tardi, fu l’artista americano Chaim Koppelman ad aprire idealmente a Napoleone le porte di New York. La figura di Napoleone, studiata in differenti forme, in tutte le sue contraddizioni e nelle sue diverse accezioni, è stata una costante nella lunga carriera di Koppelman. Nato a New York nel 1920 e scomparso nel 2009, Koppelman è considerato uno dei più significativi incisori americani del XX secolo, autore di opere conservate in alcuni dei principali musei degli Stati Uniti. L’artista ricorda di essersi imbattuto in Napoleone per la prima volta a soli nove anni, quando ne disegnò il profilo sul suo libro di geografia; da quel momento la passione per l’imperatore non lo abbandonò più tanto che nel corso di cinquanta anni ha dedicato a lui una serie di oltre cento opere, tra dipinti, disegni ed incisioni. Koppelman, con una profondità che gli deriva dai lunghi studi filosofici, ha colto in Napoleone il contrasto tra l’essere e l’apparire, tra la radice rivoluzionaria e l’ambizione imperiale. Formatosi con Eli Siegel (1902-1978), il filosofo fondatore della corrente del Realismo Estetico, Koppelman ne comprese e ne assorbì la dottrina. Per l’artista la teoria siegeliana dell’unità degli opposti, sintetizzata nella frase “La bellezza assoluta sta nell’unione degli opposti”, trova in Napoleone la perfetta incarnazione. Ed è un Napoleone particolare, inedito, quello rappresentato da Koppelman. A Coney Island sta in mezzo alla gente, quasi soffocato tra la folla di una spiaggia d’estate, in altre opere
gioca con animali selvaggi o cavalca un bue mentre entra a Manhattan. Dell’imperatore Koppelman riesce a mettere in risalto la grandezza ma al tempo stesso l’umana fragilità che lo rende identico ad ogni altra persona. Talvolta diviene una sorta di nume tutelare, quasi un angelo custode che osserva e protegge l’artista al lavoro nel suo atelier, confrontandosi direttamente con lui. Napoleone entra a New York. Chaim Koppelman e l’Imperatore. Opere 1957-2007, al Museo Napoleonico dal 14 ottobre 2011 all’8 gennaio 2012 è organizzata in collaborazione con la Fondazione Chaim e Dorothy Koppelman di New York e promossa dall’Assessorato alle Politiche Culturali e Centro Storico – Sovraintendenza ai Beni Culturali di Roma Capitale.

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Tra la fine di giugno e la metà di luglio del 1815, nei drammatici momenti successivi alla sconfitta di Waterloo, l’America apparve a Napoleone come il rifugio ideale per sé e per la propria famiglia, dove avrebbe trovato una nuova patria, giovane e libera. Nonostante la concitazione del momento, l’imperatore appena deposto...