di Morena Izzo

E’ una strage silenziosa quella dei profughi del Sinai di cui nessuno, o quasi, parla mai. Eppure si tratta di centinai, secondo l’agenzia eritrea Habeshia presieduta da padre Zerai, di migliaia di immigrati che nel tentativo di raggiungere l’occidente, non riescono a varcare i confini con Israele e a causa delle severe politiche di respingimento, finiscono nelle mani di predoni beduini e al loro traffico di essere umani e di organi. Alcuni di loro sono riusciti a pagare il riscatto ai trafficanti, altri vengono tenuti in catene nelle loro prigioni non ancora individuate, altri ancora non sono sopravvissuti alle condizioni disumane e alle torture a cui vengono sottoposti. Si tratta prevalentemente di eritrei, etiopi, somali, ma anche sudanesi. A parlare di questa situazione, nel dibattito che si è svolto a Monterotondo nell’ambito del Framma Day, è il giornalista Emilio Drudi, già capo redattore della Cronaca del “Messaggero”, che da anni si occupa di Medio Oriente e del Corno d’Africa. Il dibattito
“I profughi schiavi nel Sinai: un grido di dolore ignorato dalla Fortezza Europa”, è stato moderato dal giornalista de “Il Messaggero e vicedirettore di “PsicologiaRadio”, Fabio Marricchi. AgoràTv.it ha intervistato Emilio Drudi, che da qualche anno è in contatto con padre Zerai. “C’è tutto un mercato di trapianti clandestini – spiega Emilio Drudi – che viene alimentato dalla vita di questi profughi. I trapiantati sono persone che vengono dall’occidente. Tutto questo è sottaciuto. Se ne è parlato un po’ tra la fine di novembre e gli inizi di dicembre di 2010, quando don Zerai ha denunciato queste cose e poi il silenzio”. La base utilizzata dai predoni beduini non è stata ancora individuata, nonostante le possibilità per farlo ci siano. I trafficanti infatti utilizzano dei telefoni satellitari facilmente localizzabili, per mettersi in contatto con le famiglie dei profughi rapiti e chiedere loro il riscatto. Un riscatto che è pari a circa 35 mila dollari. Somma impossibile da pagare per queste persone e per i loro familiari, dal momento che il reddito medio, nei paesi di loro provenienza, è di 2 dollari al giorno. Una tragedia umanitaria su cui continua a regnare il silenzio. “Quelli che si sono salvati – continua Drudi – raccontano che queste prigioni sono costituite da container sepolti sotto la sabbia, dove questi schiavi vengono tenuti incatenati gli uni agli altri: gli uomini mani e piedi e le donne solo i piedi. Tra loro ci sono anche bambini”.

Cosa sta facendo la comunità internazionale ?

“Praticamente niente. Neanche se ne parla. Ci sono stati pochi servizi giornalistici sul caso, ma a livello politico sia nazionale che internazionale, non si è fatto quasi nulla. E’ un dramma. Questa è un’emergenza umanitaria di dimensioni enormi, però nessuno si muove”.

Questa politica di respingimento sta aggravando ulteriormente la situazione?

“Sicuramente si. Tra questi profughi finiti nelle mani dei predoni nel Sinai, ce ne sono anche alcuni che sono stati respinti nel Canale di Sicilia e consegnati alla Libia, che li ha imprigionati. Sono stati detenuti qualche mese e poi sono stati espulsi nel confine meridionale della Libia, in pieno Sahara. Provenivano quasi tutti dall’Etiopia, dall’Eritrea e dalla Somanlia, ma in maggioranza dall’Eritrea. Non potevano tornare indietro perchè lì l’espatrio clandestino è un reato. In Eritrea è punito addirittura con la morte. Di conseguenza hanno tentato la via del Sinai e quindi sono andati in Sudan, poi da lì sono risaliti in Egitto, seguendo la Valle del Nilo, e poi nel Sinai dove sono finiti nelle mani dei predoni beduini”.

Cosa è possibile fare?

“Se partiamo dall’idea che questa è un’emergenza umanitaria, capiamo che è un problema che riguarda tutti noi. Tutti quanti siamo responsabili. Io faccio sempre il paragone con la Shoah. La Shoah non viene per caso, non nasce e non muore con il nazismo, ma ha radici antiche e si riesce a realizzare perchè ci sono milioni di uomini comuni che non fanno nulla per opportunismo, per conformismo o indifferenza. Qui è la stessa cosa: noi non possiamo rimanere indifferenti davanti ad un dramma di questo genere. Dobbiamo costringere la politica nazionale ed internazionale ad occuparsene”.

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di Morena Izzo E’ una strage silenziosa quella dei profughi del Sinai di cui nessuno, o quasi, parla mai. Eppure si tratta di centinai, secondo l’agenzia eritrea Habeshia presieduta da padre Zerai, di migliaia di immigrati che nel tentativo di raggiungere l’occidente, non riescono a varcare i confini con Israele...