Epic Painting, il titolo scelto da Gianni Mercurio per la mostra che il Museo Carlo Bilotti dedica a Santo Tomaino, allude con chiarezza alla più suggestiva ed evidente tra le peculiarità della sua pittura: il carattere di narrazione epica per immagini. Inaugurata il 20 gennaio 2012 al Museo Carlo Bilotti Aranciera di Villa Borghese la mostra “Santo Tomaino. Epic Painting”, è promossa da Roma Capitale, Assessorato alle Politiche Culturali e Centro Storico – Sovraintendenza ai Beni Culturali. Organizzazione e servizi museali a cura di Zètema Progetto Cultura.Nato in Calabria nel 1954, ma formatosi artisticamente a Torino, la città dove attualmente vive e lavora, Santo Tomaino elabora racconti di cui sono protagonisti un favoloso e ricco bestiario insieme ad altre creature arcane e mitologiche, ma di una mitologia calata nella realtà della storia, anche contemporanea, o personale dell’artista. I protagonisti dei suoi nuovi miti si muovono tra noi, sullo sfondo delle nostre città, di campi di battaglie realmente combattute durante guerre antiche o ancora in corso, oppure occupano il paesaggio delle sue memorie infantili, i boschi della Sila, la terra di cui è originario. Il costante, immaginifico intreccio tra leggenda e realtà, il ricorso alla metafora è il metodo elaborato dall’artista per recuperare la vocazione narrativa del linguaggio pittorico. Il senso della ricerca di Tomaino si comprende a pieno solo inquadrando il pittore nel periodo e nell’ambiente della sua formazione: la Torino degli anni ’70, anni di drammatiche tensioni politiche e sociali e dell’avvento della nuova arte italiana, l’Arte Povera, il movimento che predilige il ricorso a tecniche e materiali antiartistici e, nel nome della predominanza del gesto creativo, fa slittare in secondo piano la manualità dell’artista mettendo in crisi linguaggi tradizionali come quello della pittura. Racconta Tomaino: “A Torino in quegli anni noi pittori eravamo visti come degli anacronisti, anche solo comprare dei colori o dei pennelli era motivo di discrimine”. La reazione di Tomaino a questo contesto così poco congeniale è quella dei molti che, nella fase di passaggio al nuovo decennio, lavorano per il ritorno alla pittura, alla manualità e alla figurazione. Il suo lavoro appare particolarmente vicino a quello dei nuovi pittori tedeschi, Kiefer e Baselitz in particolare.“L’esperienza da cui ripartire è – per Tomaino – l’Action Painting, l’ultima grande esperienza pittorica moderna”. All’Action Painting degli astrattisti anni ’40 e ’50 guardano il cromatismo acceso e il denso impasto della sua pittura e alcune invenzioni tecniche che creano un effetto di vero e proprio dripping, ad esempio l’evocazione di una tempesta di neve ottenuta sparando sulla tela polpa di cellulosa con un compressore. Di suo Tomaino aggiunge la figura, creando un effetto di figurazione sospesa sul vuoto dell’astrazione. Una figurazione mai utilizzata a fini di resa mimetica della realtà, ma per meglio definire il racconto per metafore di sentimenti, aspirazioni e fantasie che snidano il senso più riposto dell’esistenza. “Non sono un naturalista –spiega con chiarezza il pittore – la mia è una pittura più vicina alla concezione astratta che figurativa”. E infatti nulla di naturalistico vi è nel suo modo di dipingere e anche il colore è sempre concepito con valenze simboliche e come rappresentazione di uno stato d’animo. La sua epica per immagini non è mai narrata da opere singole ma da cicli di dipinti. Nella mostra del Museo Carlo Bilotti sono esposti lavori tratti dai cicli più significativi prodotti dal pittore a partire dall’inizio degli anni ’90 sino ad oggi.

Aridum (1990-91) Dietro alla varietà degli spunti narrativi da cui i vari cicli prendono forma vi sono alcuni concetti ricorrenti che rappresentano la struttura ideologica su cui il lavoro di Tomaino si appoggia. Aridum svela uno dei cardini della sua visione esistenziale nella fascinazione per l’eterno processo di rigenerazione che attribuisce alla morte la funzione di passaggio necessario al miracolo della rinascita. In questo senso la pittura di Tomaino assume valenze alchemiche qui chiaramente
dichiarate dall’uso dei tre colori dell’opus alchemicum: il nero della nigredo, lo stadio della morte della materia e dell’io, il bianco dell’allbedo, lo stadio della purificazione e del risveglio dello spirito, il rosso della rubedo, l’ultimo stadio, quello in cui la materia purificata si ricompone e la carne diventa immortale. Uno stadio che nel Cristianesimo corrisponde alla Resurrezione. Pur non essendo credente, molte sono le immagini che Tomaino attinge dall’iconografia cristiana: il Cervo, una splendida Ultima Cena in forma di natura morta e totale assenza di figure umane e una Crocifissione laica senza croce, con il suppliziato capovolto per sottolinearne la natura completamente umana. Domus Mater (1993-95) – Canto alla Luna (anni ’90-2010). Due cicli ispirati dalla morte dei genitori; della madre il primo e del padre il secondo. In particolare Canto alla luna si segnala come una delle pagine più felici dello straordinario bestiario elaborato negli anni da Santo Tomaino. Qui il protagonista è il lupo, al contempo proiezione del lacerante dolore per la perdita di un affetto profondo e simbolo di libertà, bellezza e istintualità primordiali.
Animum Peragrare (2006-2007) – Cenere (2009-2010)
L’idea del conflitto è spesso al centro delle narrazioni di Tomaino. In Animum Peragrare il conflitto dell’uomo con se stesso e con il mondo è rappresentato dal dramma contemporaneo dei migranti, esercito di indomiti milites alla ricerca di una vita migliore, e da scene – tra le più efficaci
elaborate dall’artista negli ultimi anni – di combattimenti di pugili sul ring. Cenere è un album di scene di guerra dipinte con cenere impastata nel pigmento colorato. Una sperimentazione dal valore come sempre simbolico ed alchemico perché la cenere è la sostanza che allude al ritorno alla terra dopo il passaggio attraverso il fuoco.
Stupor Mundi (2011)
Alle fondamenta dell’immaginifica iconografia di Santo Tomaino, oltre al principio dell’eterna rigenerazione della vita, quello della tolleranza, intesa come armonica composizione di elementi eterogenei. Un concetto perfettamente simboleggiato dalla figura di Federico II di Svevia, il sovrano che seppe trasformare la sua corte nell’illuminato punto di incontro tra cultura greca, latina, araba ed ebraica. Il ciclo di opere a lui dedicato culmina in una spettacolare battaglia, Gerusalemme 1228-Eporedia 1982. L’opera è altamente rappresentativa delle ingegnose formule narrative elaborate da Tomaino. Nel caso specifico si rappresenta una moderna Battaglia delle Arance del Carnevale di Ivrea (l’Eporedia del titolo) per alludere alla più scandalosa crociata del Medioevo, quella ingaggiata da Federico II, ancora sotto scomunica, e vinta, senza dare battaglia, trattando con il Sultano d’Egitto il possesso decennale di Gerusalemme, Betlemme e Nazareth. Un metodo tipico del geniale Stupor Mundi che all’epoca destò più di una perplessità.
Vero compendio del ciclo e sintesi del pensiero pittorico di Tomaino è però Bestiario, un grande dipinto monocromo in cui gli animali simbolici della storia antica e moderna si fondono: tori della classicità ellenica, serpenti biblici, leoni simbolo della cristianità e del potere, lupi delle saghe nordiche insieme alla cagnolina Laika, crudelmente sacrificata al sogno della conquista dello spazio e alla pecora Dolly, la prima creatura vivente clonata artificialmente.

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Epic Painting, il titolo scelto da Gianni Mercurio per la mostra che il Museo Carlo Bilotti dedica a Santo Tomaino, allude con chiarezza alla più suggestiva ed evidente tra le peculiarità della sua pittura: il carattere di narrazione epica per immagini. Inaugurata il 20 gennaio 2012 al Museo Carlo...