BASILICA DI SAN PIETRO IN VINCOLI, CONCERTO DELLA FILARMONICA PRENESTINA “E IL SETTIMO ANGELO SUONO'”, I PIU’ CELEBRI DIES IRAE
di Daniele Goretti
“E il settimo angelo suonò”, il concerto di musica sacra che ha racchiuso per la prima volta i più celebri Dies irae di ogni tempo, tenuto dall’orchestra e coro della Filarmonica Prenestina, diretti dal maestro Paolo Falconi, con introduzione del Professor Claudio Strinati, nella suggestiva basilica romana di San Pietro in Vincoli, un progetto di Giulia Pasquazi Berliri, coadiuvata da Peter Glidewell. Con il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitato che ha conferito una medaglia di rappresentanza all’evento.
Il Dies irae è una celebre sequenza in lingua latina attribuita a frà Tommaso da Celano, discepolo di San Francesco, ed è una composizione poetica medievale fra le più riuscite.
Quest’inno rappresenta una innovazione stilistica rispetto al latino classico: il ritmo è accentuativo e non quantitativo, i versi sono composti con rima baciata – ad eccezione delle ultime due strofe – ed il metro è trocaico.
Il Dies irae è un richiamo potente al Giudizio finale, al quale nessuno potrà sottrarsi. Questo canto liturgico, inserito nella Messa di rito romano per i defunti (il Requiem) descrive la fine dei tempi e il gran giorno: l’ultima tromba che raccoglie le anime davanti al trono di Dio, dove i buoni saranno salvati e i malvagi condannati al fuoco eterno.
Le novità, i ritmi incalzanti del vivere quotidiano, le difficoltà come le angustie che scandiscono l’esistenza di ciascuno – senza differenze o privilegi di sorta – portano con sé un orizzonte infinito di sentimenti, di vedute, di esperienze. Il nostro tempo si nutre, è permeato di tutto questo, forse anche troppo. Il rischio è quello di superare i confini razionali e di abbandonarsi ad un gioco senza ritorno. Per questo servono idee chiare, precise, dinamiche. E così ragionando si è pensato di ritornare all’essenziale, al pratico, al bisogno di impegnarsi e alla voglia di fare ciò che non è ancora stato fatto.
“Ecco allora che si è voluto organizzare un evento di musica sacra “inedito”- hanno spiegato gli organizzatori- intendendo con questo termine il non poter essere catalogabile fra le esecuzioni classiche, perchè questo concerto costituisce una vera e propria antologia monotematica di brani che, attraverso circa sette secoli, offre all’ascoltatore una percezione chiara di cambi di tonalità, modulazioni e criteri melodici differenti. In un unico concerto questi brani, a tutt’oggi, non sono mai stati eseguiti e, l’unicità del progetto, consta proprio nel dimostrare che si possono superare le difficoltà che un coro ed un’orchestra hanno nell’affrontare cambi così repentini di stile di esecuzione nell’ambito di un’unica rappresentazione.
Il “Requiem” rappresenta per ogni compositore il momento più alto della sua “produzione musicale” e il Dies irae è senz’altro un passaggio di grande pathos. La sensazione che il Giudizio universale sia un evento inevitabile, e anzi quasi prossimo, viene rafforzata nel testo, e quindi dal coro, dall’uso di alcune forme verbali; la più importante di queste forme è il participio futuro, con cui la lingua latina suggerisce l’imminenza di un’azione o la sua inevitabilità («est futurus» ed «est venturus» sono , infatti, espressioni semanticamente assai più dense dei corrispondenti futuri semplici «erit» e «veniet»). Il latino di questo testo è, comunque, nel suo complesso molto semplice e caratterizzato da una scelta lessicale essenziale.
Il Dies irae ha una straordinaria importanza religiosa e culturale (il fatto che sia inserito nella Messa da Requiem lo rende ad esempio un testo importantissimo anche per la Storia della Musica). Il Dies Irae è scritto su tetragramma, che è un rigo musicale formato da quattro linee che fu introdotto da Guido d’Arezzo. Il Dies Irae originale era “monofonico”, come se a cantare fosse un’unica persona, mentre a partire dal XV secolo il Dies Irae cominciò ad essere trattato in modo “polifonico” e il primo Dies Irae polifonico conosciuto è stato scritto da Antoine Brumel (1460 – 1520), compositore franco-fiammingo.
Gli squilli di trombe che animano le partiture sono simili a quelli che si sentono quando si fanno entrare personaggi di un “certo livello”, un esempio fra tutti la Marcia trionfale dell’Aida per il ritorno vittorioso di Radamès….Le trombe chiamano all’adunata generale, una sorta di appello al quale non si può restare, anche solo musicalmente, indifferenti.
Ecco allora che questo Concerto, se da un lato segna un cambiamento rispetto alle proposte musicali che di norma si portano all’attenzione del pubblico, dall’altro indica una condizione, un impegno, una norma che ciascuno di noi scopre e ritrova nel suo intimo: un presente rivolto al futuro, una finestra aperta sull’eternità. Tuttavia, se è vero che in San Francesco la possibilità che l’uomo si salvi sembra collegarsi anche alla sua opera, alla sua capacità di conformarsi al volere divino («beati quelli ke trovarà ne le Tue sanctissime voluntati, / ka la morte secunda no ‘l farrà male», vv. 30-31) è altrettanto vero che in questo testo, da molti attribuito a Tommaso da Celano, la salvezza appare legata soltanto all’imperscrutabile disegno divino («qui salvandos salvas gratis», v. 23), mentre l’indegnità dell’uomo viene più volte sottolineata con accenti assai più cupi di quelli usati dal Santo”.
PROGRAMMA ESEGUITO NELLA SERATA
Antonín Leopold Dvorák (1841-1904)
dal Requiem op. 89
Heinrich Ignaz Franz Biber (1644-1704)
dal Requiem in Fa minore
Antonio Salieri (1750-1825)
dal Requiem in Do minore
Domenico Gaetano Maria Donizetti (1797-1848)
dalla Messa di Requiem in Re minore
per la morte di Vincenzo Bellini
Wolfgang Amadeus Mozart (1756-1791)
dalla Messa di Requiem in Re minore K626
Giuseppe Verdi (1813-1901)
dalla Messa di Requiem per Alessandro Manzoni
Franz von Suppé (1819-1895)
dal Requiem della Missa pro defunctis
Luigi Maria Cherubini (1760-1842)
dal Requiem in Do minore
Joseph Anton Bruckner (1824-1896)
dal Requiem in Re minore WAB 39
Hector Berlioz (1803-1869)
dal Requiem della Grande Messe des morts
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